Il ristoratore italiano virtuoso sa di perseguire inconsapevolmente gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile? Forse no!

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La ristorazione italiana si distingue per la sua capacità di interpretare usi e tradizioni locali ed identitarie e di averne saputo fare bandiera nel mondo. E’ altrettanto vero che le contaminazioni provenienti da varie parti del Mediterraneo sono state le forze innovative che nei secoli hanno forgiato un’eccellenza, basata sulla commistione, sulla sperimentazione e sulla grande biodiversità che il nostro Paese vanta, grazie, appunto, alle importazioni di colture quali quelle del pomodoro, patate, melanzane, riso, ecc. Quando si parla di identità territoriale ci si riferisce non a prodotti agricoli presenti da sempre in Italia, bensì a colture spesso non originarie, trasformate in ricette succulente grazie alla creatività e molto spesso, alla necessità.

La dieta mediterranea raccoglie ed enfatizza l’identità gastronomica e la bontà di  uno stile di vita, che si basa sia sulla sana alimentazione sia sui rapporti di convivialità, inclusione, di rispetto delle tradizioni…in breve, è una linea guida per il benessere psico-fisico a livello individuale e strumento utile al conseguimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile ONU (Agenda 2030) a livello planetario. In effetti, la Conferenza di Palermo del maggio 2019 sui temi della Rivitalizzazione della Dieta Mediterranea, si riferisce proprio alla riabilitazione di un regime alimentare -e non solo – che continua a subire forti contraccolpi dal cambiamento climatico, dal depauperamento dei mari e dall’impoverimento delle terre, che inducono le popolazioni a migrare verso i grandi centri urbani per poter lavorare.

Trovare soluzioni  alle emergenze globali, a cui si aggiungono la malnutrizione e la scarsa educazione alimentare è estremamente urgente e non sono rintracciabili solo nella rivitalizzazione della Dieta Mediterranea. Piuttosto,  le opportunità di lavoro che potranno emergere dalla ricerca multidisciplianre nel campo della sostenibilità ambientale, sociale ed economica sono  state stimate in una ricerca di Confcooperative: entro il 2023, il fabbisogno di esperti nella sostenibilità sarà superiore del 19% rispetto  a quello nel digitale. E non si tratterà solo di certificazioni o validazioni per le aziende, in quanto:

1) la brand awareness vale più di molte certificazioni (il consumatore può muovere i mercati, ma i mercati orientano il consumatore);

2) le certificazioni saranno utili  solo per dimostrare che l’azienda è trasparente negli obiettivi e nei rapporti con tutti  gli stakeholders. Vale a dire,  più una questione di comunicazione, di interazione tra soggetti, di fidelizzazione, piuttosto che di mera elencazione e validazione di pratiche virtuose a favore dell’ambiente, del lavoratore, degli stakeholders. Si dovrà sempre più parlare di sostenbilità senza parlare di sostenibilità: quindi agire per dare esempi di buone pratiche.

E’ quindi auspicabile che la rivitalizzazione della Dieta Mediterranea passi attraverso questa consapevolezza: molti giovani, che si stano rivolgendo all’agricoltura, ritornando alle terre di origine, diventando giovani agricoltori e spesso anche ristoratori,  sono i primi alfieri coraggiosi di un nuovo modello di pensiero: la ricompensa economica è secondaria rispetto alla salvaguardia della vita, nostra e del pianeta.


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